Cultura

In me c’è la rabbia di Fela

Ha solo quindici anni, ma è già leader di un gruppo di trenta elementi. Un intero popolo guarda a lui vedendo suo padre, simbolo della lotta dell’Africa per la democrazia, morto dopo aver subito tor

di Cristina Giudici

«I wish, I wish», continua a ripetere. «Lo desidero. Desidero essere come lui, come mio padre». Quindici anni, forte e dritto come un fusto d?albero, le lunghe gambe che vibrano come uno strumento, Seun Anikulapo Kuti, nigeriano e figlio del grande musicista nero e oppositore al regime militare, Fela Kuti (scomparso il 2 agosto del 1997) riassume nel suo nome la pesante eredità. Anikulapo significa ?colui che ha il controllo sulla morte? e Kuti ?la morte non può essere causata da un?entità umana?. Seun è passato da Milano per il concerto che ha dato il via alla sua prima tourneé in veste di leader dei ?Fela?s Egypt ?80?, all?interno del Festival del cinema africano organizzato dal Coe, il Centro orientamento educativo. «Sono nato sul palcoscenico, lì ho imparato la musica di mio padre, l?Afrobeat, ma soprattutto ho imparato a usare le parole della verità. Il mio paese, la Nigeria, è hard, duro; solo chi ha soldi viene ascoltato, ma nelle sue parole c?era la verità e oggi anch?io desidero dire la verità». Seun è il figlio minore di Fela Kuti ed è considerato la reincarnazione fisica e musicale del padre. Cantante, sassofonista, pianista, vive a Kalakuta Republic, a Lagos, nella comune dove il padre viveva con le sue 27 mogli (sposate con il rito Yoruba) irradiando suoni e canti dell?Afrobeat, la musica che insieme inneggiava alla negritudine, denunciava la corruzione del governo militare e invocava i diritti umani; tutto sulla base di una miscela esplosiva di ritmi ipnotici, uso dei fiati, trombe, jazz e broken English. Con numerosi coristi, ballerini, sassofonisti, trombettisti e percussionisti. Una musica che esprime un mondo profondamente radicato nelle proprie radici africane e viene arricchita dalla complessità degli arrangiamenti musicali che Seun, in compagnia della madre Fehintola, capo corista, e di 15 dei 30 elementi della band, ripropone, accentuandone l?africanità con tamburi e evocazioni mistico-religiose. «Lui credeva in se stesso, credeva in tutto ciò che faceva ed era un mio grande amico, il migliore. Mi ha insegnato tutto, mi ha insegnato cosa significa essere black, you know», dice Seun mentre si rigira sulla sedia e parla del padre come se fosse presente. «In Nigeria, quando la gente mi vede dice: ?Fela non è morto, è ancora lì e non morirà mai?. È vero», aggiunge ridendo. Ma Seun è anche un ragazzo africano che va a scuola e gioca nella squadra di calcio e spera di portare via dall?Italia tante scarpe da tennis e tante magliette dell?Inter per rivenderle quando tornerà a casa. «Milano is cool, è una figata, mi piace, ma non vedo bambini. La mia canzone preferita è Clear Road jaga jaga, scritta dopo le elezioni del ?93, quando c?è stata la truffa; la mia musica è quella di noi tutti, i black men» ride buttando indietro la testa e puntando i piedi per terra mentre dice: «Dimmi quello che vuoi, fai domande. Sì, mi piace da pazzi essere famoso, ma soprattutto mi piace perché so che sarò ancora più grande di mio padre». Il discorso torna a lui, a Fela Kuti, the black president, il musicista che dopo l?arrivo dei militari al potere fu condannato a cinque anni di carcere. L?ultima volta che lo hanno portato via, lo hanno incatenato mani e piedi; lui che aveva portato da Londra il jazz e l?aveva coniugato al panafricanismo e all?aggressività dei tamburi, è morto l?anno scorso per complicazioni cardiache dovute all?Aids, ma anche per mancanza di cure in carcere. Il suo funerale è stato seguito da un milione di persone arrivate da tutta l?Africa e si è trasformato in uno straordinario concerto dove la gente gridava il suo nome, cantava, ballava e suonava. Da tutto questo viene il piccolo Seun; con i suoi quindici anni, una vita davanti e un destino segnato; le canzoni del padre che riporta in scena ogni venerdì sera al club Shrine. «No, la polizia non mi ha ancora dato fastidio, ma verrà, lo so che verrà perché in Nigeria non c?è libertà», dice. E lo dice anche sua madre Fehintola, che non lo perde di vista un momento. Lei ha le ciglia lunghe, le unghie colorate e gli occhi immensi, è stata l?unica, fra le mogli di Fela, a non lasciare la Nigeria dopo la morte del marito e non ha temuto la rappresaglia. Mentre parla piange, mentre piange ricorda il legame fra il padre e figlio, la musica, la sofferenza, il carcere. «Prego sempre per lui perché è un cucciolo che ha perso il padre, perché è perso, ma è un bravo cantante e ce la farà. Non lo toccheranno», dice Fehintola. Ce la farà Seun? Tutti credono di sì. «Seun è cresciuto sul palco, fra fiati e tastiere, spiritualità animista e ritmi jazz; la musica ce l?ha dentro, da sempre; ora sta cercando la sua identità come musicista», dicono gli altri della band, compagni di vita e di arte di Fela Kuti. Seun non era ancora nato quando un migliaio di soldati irruppero nella Kalakuta Republic, picchiando il padre, rompendogli le gambe, violentando le mogli; fu allora che iniziò la guerra politica e musicale che Seun oggi vuole portare avanti. «Voglio essere più grande di lui», continua a ripetere. Così Seun deve cantare per mantenere vivo il ricordo del padre, simbolo dell?identità di un popolo, quello nigeriano, e di una nazione, quella africana. Saluta come se la conversazione dovesse continuare domani. «Basta arrivare all?aeroporto di Lagos e chiedere della casa di Mama Seun, tutti sanno dov?è, è scritto nella memoria degli africani. Lì ti aspettiamo», conclude in broken English. Petrolio e terrore Dalla conquista dell?indipendenza, nel 1960, i nigeriani hanno goduto soltanto di nove anni di democrazia. La storia contemporanea del ?gigante malato d’Africa? è stata costellata da golpe militari. L?ultimo, nel 1993, ha portato al potere l?attuale presidente, il generale Sani Abacha. Il Paese, grande tre volte l?Italia e abitato da 250 etnie diverse, è la sesta potenza petrolifera del mondo. Abacha è accusato dagli organismi dei diritti umani di essere il responsabile della detenzione illegale di centinaia di oppositori politici e del massacro del popolo degli Ogoni, che vivono su un territorio dove si trovano giacimenti di petrolio e di gas, affittati alle multinazionali straniere. Ed è proprio a causa della sua opposizione alla politica del governo nei confronti degli Ogoni che, nel novembre del 1995, lo scrittore Ken Saro-Wiwa è stato impiccato. La Nigeria è soggetta a sanzioni internazionali, perciò Abacha ha stilato un programma di transizione per promuovere il ritorno della democrazia, ma nessuno ci crede. Amnesty International e il premio Nobel 1986 per la letteratura, Wole Soyinka, costretto all?esilio, hanno chiesto alla Coca-Cola di abbandonare la Nigeria. Ma anche l?associazione Reporters sans frontières, in occasione della visita del Papa nei giorni scorsi, ha fatto un appello perché vengano liberati i giornalisti detenuti nelle carceri della capitale. Nel 1997 sono stati arrestati novanta giornalisti.


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